Uranio e Amianto alla base di molteplici e temibili rischi a cui sono esposti lavoratori e cittadini nelle attività svolte dall’esercito, ma anche dalla polizia di Stato, dai vigili del fuoco e dalla Marina militare ma il presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, Giorgio Trenta afferma di essere stato travisato: mai detto che uranio è responsabile tumori Nel mirino della relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta il “negazionismo” dei vertici militari e gli “assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo” nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari “in Italia e nelle missioni all’estero, che hanno contribuito a seminare morti e malattie”.
Il documento cita in particolare l’audizione di Giorgio Trenta, presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica, che ha “riconosciuto la responsabilità dell’uranio impoverito nella generazione di nanoparticelle e micropolveri, capaci di indurre i tumori che hanno colpito anche i nostri militari inviati ad operare in zone in cui era stato fatto un uso massiccio di proiettili all’uranio”. Critiche anche alla magistratura penale, i cui interventi “non appaiono sistematici” a tutela della salute dei militari e dunque “nell’amministrazione della Difesa continua a diffondersi un deleterio senso d’impunità”. “Assolutamente non è il mio pensiero, non ho mai detto che l’uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati. Le mie affermazioni sono state travisate” ha però commentato Giorgio Trenta dell’Associazione italiana di radioprotezione medica commenta le conclusioni della Commissione Parlamentare sull’uranio impoverito, che invece citano proprio la sua relazione per affermare che c’è un legame tra uranio e malattie. “Il presidente della Commissione cita una perizia che avevo fatto in cui affermavo che l’uranio al massimo poteva essere il mandante, non l’esecutore materiale – continua Trenta -. Io parlavo di un militare che lavorava in un campo di atterraggio e decollo degli aeroplani che portavano le bombe all’uranio depleto in Kosovo che aveva una pista in terra battuta. Quindi quando gli aeroplani atterravano facevano un polverone, e questo faceva sì che inalasse microparticelle ma non di uranio, ma del materiale che stava nella pista. In questa perizia ho dato colpa a nanoparticelle derivate dalle attività che si svolgevano nel sito dove stava, ma non certo all’uranio”. Tutte le agenzie internazionali, a partire dall’Oms, hanno sempre escluso una responsabilità dell’uranio impoverito. “Nessuno l’ha mai provata – ribadisce Trenta -. Anche sull’entità dell’eccesso di tumori che sarebbe stato riscontrato a mio parere non ci sono certezze, il numero di persone prese in esame è troppo basso per escludere che possa essere dovuto al caso”. In relazione a tre specifici casi emersi nel corso dell’inchiesta, la Commissione ha trasmesso gli atti acquisiti nelle rispettive audizioni presso le procure della Repubblica competenti. Si tratta del militare Antonio Attianese, vittima di una grave patologia insorta a seguito della sua permanenza in Afghanistan, che ha denunciato l’atteggiamento ostruzionistico e le minacce di alcuni superiori. C’è poi il caso sollevato dal tenente colonello medico Ennio Lettieri, che ha affermato di essere stato direttamente testimone, nel corso della sua ultima missione in Kossovo, in qualità di direttore dell’infermeria del Comando Kfor, della presenza di una fornitura idrica altamente cancerogena di cui era destinatario il contingente italiano. Infine, la Commissione ha trasmesso alla procura di Roma gli atti relativi all’audizione del generale Carmelo Covato, della Direzione per il coordinamento centrale del servizio di vigilanza, prevenzione e protezione dello Stato Maggiore dell’Esercito, che aveva affermato che “i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati, affermazioni che apparivano in contrasto con le risultanze dei lavori della Commissione e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’intera inchiesta”. La relazione ha messo in luce i “molteplici e temibili rischi a cui sono esposti lavoratori e cittadini nelle attività svolte dalle forze armate, ma anche dalla polizia di Stato e dai vigili del fuoco. Non c’è solo l’uranio, ma anche l’amianto, presente in navi, aerei, elicotteri. Tanto che la Commissione ha accertato che “solo nell’ambito della Marina Militare 1.101 persone sono decedute o si sono ammalate per patologie asbesto-correlate”. Criticità sono emerse nei poligoni e desta poi “allarme” la situazione missioni all’estero, con “l’esposizione a inquinanti ambientali in più casi nemmeno monitorati”. A fronte di questi rischi, i parlamentari hanno rilevato la difficoltà per le vittime di ottenere giustizia. Questo per gli “ispettori domestici”: nei luoghi di lavoro delle forze armate, infatti, la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le stesse amministrazioni della Difesa. La proposta di legge Scanu, firmata da quasi tutti i membri della Commissione, punta ad affidare la vigilanza sui luoghi di lavoro dell’Amministrazione della Difesa al personale del ministero del lavoro. E’ inoltre urgente anche “il superamento dell’Osservatorio epidemiologico della Difesa e l’affidamento delle indispensabili ricerche epidemiologiche nel mondo militare a un ente terzo e qualificato per coerenza scientifica come l’Istituto Superiore di Sanità”. Infine, la relazione ha constatato “l’inadeguatezza della tutela previdenziale garantita al personale delle forze armate, al quale è riservato un trattamento deteriore rispetto alla generalità dei lavoratori”.
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