19 settembre 2014 presso Cuneo
Cuneo 28/07/2014
Carlo Chiariglione
C.a.: Ministro della Difesa – Senatrice Roberta PINOTTI
Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Gen. C.A. Claudio GRAZIANO
Presidente del Consiglio Matteo RENZI
Vice Presidente della Camera – Cittadino Luigi Di MAIO
Presidente Fratelli d’Italia Guido CROSETTO
Generale. C.A. Mario MARIOLI
Maestro Roberto BENIGNI
Vescovo della Diocesi di Roma – Jorge Mario BERGOGLIO
Egregi Ministro della Difesa, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Presidente del Consiglio, Vice Presidente della Camera, Presidente Crosetto, Gen. C.A. Marioli, maestro Benigni, amato Papa Francesco,
Chi Vi scrive è un libero cittadino italiano che in funzione delle proprie possibilità e potenzialità, ha sempre cercato di essere presente nei confronti delle vicissitudini vissute dal proprio Paese, provando a dare il suo supporto, anche solo morale, alla ricerca di un’eventuale soluzione. Questo interesse mi spinge a interessarmi con coinvolgimento e affetto, anche nei confronti di tutti quegl’italiani che hanno scelto di servire la propria Patria nel modo che più sentivano proprio vestendo una divisa.
La motivazione che mi ha spinto a scrivere questa mia è duplice.
Il primo motivo è legato alla proposta che più volte è stata riportata sugli organi d’informazione, circa il reclutamento nelle Forze Armate Italiane rivolto a personale straniero dietro promessa di cittadinanza, a causa di un rilevato calo di arruolamenti.
Il secondo motivo è riferito alla “Qualità nell’Amministrazione delle Forze Armate Italiane”.
Le due motivazioni, seppur apparentemente diverse, vivono l’una in riflesso dell’altra.
Reclutamento straniero nel Comparto Difesa
Vorrei sensibilizzare le Signorie Vostre verso un problema che credo cruciale per la vita delle Forze Armate Italiane, ovvero il limitato numero di arruolamenti di Soldati volontari.
In particolare, il motivo per cui Vi scrivo riguarda la proposta da più parti avanzata circa la possibilità di arruolare nelle Forza Armate persone straniere, ricompensate poi, dopo alcuni anni di servizio, con la cittadinanza italiana.
La notizia è stata più volte riportata negli ultimi mesi da vari organi d’informazione e pare non abbia trovato sordi alcuni rappresentanti politici di diversi schieramenti.
A mio avviso, non tutti i Soldati professionisti si sono arruolati con il solo fine di avere in cambio un premio economico(soldo) o di status. Per arruolarsi alcuni in possesso di un diploma di laurea, hanno anche rinunciato ad altri impieghi, di pari prestigio, meglio retribuiti e certamente meno impegnativi e pericolosi.
Per convincere un giovane a vestire una divisa devono assolutamente coesistere anche altre motivazione, anche se troppo spesso la persona in questione le vive in maniera non sempre evidente e conscia.
Per anni ho combattuto contro chi additava con biasimo coloro i quali vestivano una divisa con orgoglio e non con sciatteria, colpevoli di garantire una fedeltà ad un Paese anche al di fuori di un torneo calcistico, non vergognandosi dell’appartenenza all’Italia, vivendoci da Cittadini e non da sudditi.
Una persona veste una Divisa perché questo è il personale modo di contribuire alla vita e alla crescita della propria Nazione.
Sia chiaro, si può servire lo Stato in uniforme o in abiti civili, con pari impegno e pari dignità; il Soldato sceglie la prima possibilità, anche per la convinzione che il mondo militare custodisca la storia ed i valori di un Popolo, sottolineandone quei particolari doveri a cui si sente chiamato per il bene della collettività ogni cittadino.
Il punto è che questo mio sentire non è un’eccezione. E’ lo stesso spirito che avverto intorno a me, ogni giorno, lavorando e vivendo a stretto contatto con persone che hanno intrapreso questa vita.
Credo che l’essere un Soldato, il rischiare la propria vita in missione di pace così come in battaglia, non possa trovare solide radici in una motivazione opportunistica.
Credo che ciò che spinge a difendere la propria Patria con tutte le proprie forze possa essere solo una ragione più profonda e radicata di una ricompensa materiale. In questo modo, avremmo solo ranghi senza giusti ideali, finalizzati all’ottenimento di uno stipendio, di una cittadinanza.
Questa realtà “straniera” sarebbe carente di quella spinta emotiva e vitale che permette ad ogni Uomo in divisa di stringere i denti e di andare avanti, tirandosi fuori dalle situazioni più difficili. Sarebbe mancante quella voce amica che gli sussurra, imponendoglielo, di comportarsi sempre nel migliore dei modi e con l’umanità e sensibilità “tutta italiana” che lo deve sempre accompagnare e contraddistinguere.
Questo elemento mancante si chiama Patriottismo.
In ogni epoca sopra il suolo sul quale oggi vive la Nazione italiana, si possono trovare esempi di patriottismo.
Si possono ricordare le vicende di Muzio Scevola nei confronti della mancata uccisione del Re etrusco Porsenna (509 a.C.), il quale mortificò volontariamente il proprio fisico come punizione per non essere riuscito ad eseguire il compito ordinatogli, non onorando quindi la propria Patria.
Ci possiamo avvicinare a noi, storicamente parlando, citando il patriota Cola di Rienzo (XIV sec. d.C.), tra i primi a percepire e quindi a promuovere un’identità italiana, fino ad arrivare agli attori più conosciuti che hanno reso possibile l’avverarsi di uno dei nostri più gloriosi periodi storici, il Risorgimento italiano.
In questo florido periodo storico-sociale, spicca con certezza il sempre poco ricordato e onorato Giuseppe Garibaldi con i suoi volontari, diversi da tutti gli altri perché erano Soldati “per amore” e non “per forza”, “per convinzione” e non “per convenienza”.
Questi Soldati-Volontari erano stati reclutati e motivati da un semplice appello di Garibaldi, il quale riuscì ad infiammarne l’entusiasmo, facendone accorrere migliaia alla sua chiamata.
I Soldati Volontari di Garibaldi si presentavano fieri, arditi, coesi, sognatori, passionali e pieni di spirito di sacrificio, legati tutti da un patriottismo sprono per un sogno unico, cioè da un’unica e indivisibile Patria Italiana.
Tutto questo era possibile grazie all’esempio dato dal fascino, dall’ammirazione ed emulazione che solo un Vero Comandante come Garibaldi poteva garantire e stimolare. Il grande Comandante riuscì a trasformare semplici cittadini in veri e valorosi Soldati, espressione questi di eroismo, carattere, iniziativa, creatività, forza di adattamento, istinto, generosità, temperamento e passione, caratteristiche e doti che solo il Popolo italiano, se ben stimolato, può donare.
Il Patriottismo non si concreta solamente in situazioni prettamente di guerra, basti ricordare durante il XIX secolo il lavoro svolto da musicisti, scrittori, filosofi, artisti in genere.
Nomi come Verdi, Mazzini, Rossini, Foscolo rimangono ancora dopo molti anni dalla loro morte nelle menti degli Italiani, così come la forza della loro Passione vissuta e celebrata nei confronti della propria Patria.
Nello specifico Mazzini diceva:
– “Dove gli uomini non riconoscono un principio comune, dove non è identità d’intento per tutti, non esiste Nazione ma folla ed aggregazione fortuita (1835)”.
– “La Patria è una missione, un dovere comune… La Patria è prima di ogni altra cosa la coscienza della Patria… Però che… i confini che la natura pose fra le vostre e le terre altrui e la favella che vi risuona pur entro non sono che la forma visibile della Patria: ma se l’anima della Patria non palpita nella vostra coscienza quella forma rimane simile a cadavere senza alito di creazione e voi siete turba senza nome, non Nazione; gente non Popolo” (“Ai giovani d’Italia”).
Qui mi fermo per non appesantire la lettura con altri mille esempi ed episodi noti.
Un ulteriore punto di crisi nel progetto “truppe straniere” sarebbe indubbiamente identificato nell’accostamento tra le religioni che andrebbero a relazionarsi.
La storia ci offre vari esempi di legame indissolubile tra Forze Armate Italiane e Cristianità, a partire dall’esempio più emblematico e forte identificato dal Centurione di Cafarnau, pagano e non ebreo, che chiede a Gesù di poter guarire il suo servo morente, cosa poi avvenuta grazie all’umanità e all’etica perpetrata dallo stesso durante il suo servizio nel ruolo di Soldato romano; per finire alla recente vicinanza dimostrata dalla Chiesa attraverso diversi Papa nei confronti delle Forze Armate.
La storia e le tradizioni italiane ci offrono un ulteriore e non meno fondamentale punto di riflessione, rispetto al legame tra il territorio italiano, il suo Popolo e i propri eserciti, da sempre legati in maniera indissolubile dalla e alla loro matrice Cristiana.
L’Italia e le proprie Istituzioni, comprese le militari, dalla conversione di Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio ad oggi, sono sempre state detentrici e fautrici della religione Cristiana-Cattolica e delle virtù in essa professate.
Sia il territorio italiano, attraverso le innumerevoli chiese, campanili e Santi ivi presenti, sia le varie Discipline Umanistiche da sempre stimolate e ispirate dalla e alla identità Cristiana dell’Italia, per finire al nostro Inno di Mameli, “… che schiava di Roma, Iddio la creò! …Uniti per Dio, Chi vincer ci può?”, ci ricordano quotidianamente il nostro legame a tale realtà.
Questo è l’ambiente in cui si sono forgiate le nostre Forze Armate.
Le Istituzioni Italiane confermano formalmente questo legame in vari modi, come ad esempio celebrando i vari Patroni delle Forze Armate e Corpi Armati dello Stato attraverso cerimonie ufficiali o la pubblicazione degli stessi sui siti web istituzionali come quello della Difesa, oltre alla presenza dei Cappellani militari all’interno di ogni Reparto.
Questo legame tra il Soldato e la Chiesa è stato nei tempi sempre più confermato e garantito anche dalla Chiesa stessa.
Papa Giovanni Paolo II ad esempio ha più volte toccato questo legame imprescindibile, tracciandone sempre più apertamente le linee morali oltre che operative e sinergiche, come quando nel 1991 parlando ai Militari polacchi definiva il servizio militare come ”non soltanto un mestiere o un dovere, ma anche come un comando interiore della coscienza, un comando del cuore”. Questo concetto ci spiega perché la Costituzione Italiana, assolutamente intrisa di etica Cristiana, riconosce sì la possibilità di avere parte integrante in una “guerra giusta” intesa come “guerra di difesa”, ma, quindi, possibile solo in caso di un’aggressione in atto, di una minaccia grave, attuale e imminente alle proprie Istituzioni, ai propri territori e alla propria Popolazione.
Lo stesso Papa durante la Guerra del Golfo in Iraq, affermò ai Cristiani “non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo, vogliamo una giusta pace”, in opposizione al pacifismo passivo e assoluto che iniziava a fervere nella gente.
Altra conferma di questo legame Cristianità/Soldato, ci viene dato dal contenuto della lettera che lo stesso Papa il 24 marzo 2003 inviò ai Cappellani Militari durante il loro corso di formazione “Corso internazionale di formazione dei cappellani militari cattolici al diritto umanitario”.
In questa lettera, il Papa richiama la necessità per i Soldati di codificare, nel momento in cui le armi si scatenano, “regole mirate a rendere meno disumane le operazioni belliche”. Sempre nella lettera il Papa conferma che, grazie al pensiero Cristiano, si sia potuto creare un vero e proprio corpus giuridico definito come “Diritto Internazionale Umanitario”, di cui base fondamentale è la prima Convenzione di Ginevra del 22 agosto 1864, nonché le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i successivi due Protocolli aggiuntivi dell’Aia del 1977.
Proprio in relazione a quanto appena scritto lo stesso Papa dichiarava: “Come ho avuto occasione di dire in passato ai membri dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, il Cristianesimo offre a questo sviluppo una base nella sua affermazione del valore autonomo dell’uomo e della sua preminente dignità di persona con una sua propria individualità, completa nella sua costituzione essenziale, e dotata di coscienza razionale e libera volontà. Anche nei secoli passati, la visione Cristiana dell’uomo ha ispirato la tendenza a mitigare la tradizionale ferocia della guerra, in modo da assicurare un trattamento più umano per coloro che erano coinvolti nelle ostilità. Ha reso un contributo decisivo all’affermazione, sia da un punto di vista morale che in pratica, delle norme di umanità e giustizia che sono ora, in forma debitamente modernizzata e precisata, il nucleo delle nostre odierne convenzioni internazionali” (18 maggio 1982).
Papa Giovanni Paolo II in un altro punto della lettera dichiara “che perfino in mezzo ai combattimenti più aspri è sempre possibile, e quindi doveroso, rispettare la dignità dell’avversario militare, la dignità delle vittime civili, la dignità indelebile di ogni essere umano coinvolto negli scontri armati”.
Lo stesso Stato Maggiore della Difesa attraverso il proprio periodico “Informazioni della Difesa” con il titolo “Giovanni Paolo II tra i militari”, volle ricordare quanto la Chiesta tutta, sia da sempre e ancora più oggi vicina fisicamente e moralmente ai Soldati italiani, confermandone la loro interdipendenza simbiotica.
Tutto questo per comprovare che l’ottima visione che hanno all’estero delle Forze Armate Italiane è dovuta anche all’umanità, all’etica che i nostri militari professano nei confronti delle varie popolazioni dove si vedono impiegati. Questo accade anche e soprattutto grazie alla loro cultura e alla loro tradizione Cristiana, che li rende in ogni momento “Uomini con la divisa” e “Soldati umani”.
Prendiamo un altro spunto di riflessione di questo legame Cristianesimo-Forze Armate.
La condizione socio-economica dell’Italia ha visto aumentare in maniera esponenziale le domande di arruolamento da parte di giovani provenienti dalle regioni del sud del Paese. Questa condizione “regionale” acquista una connotazione ancora più fondamentale per quanto riguarda la possibile integrazione con persone straniere in un ambiente circoscritto come può essere quello di una caserma, in cui si è costretti a convivere forzatamente, a stretto contatto e con conseguenti elevati valori di stress. In particolare, la grande percentuale di “meridionalizzazione” delle Forze Armate concretizza un forte attaccamento di tali Soldati nei confronti della religione Cristiana-Cattolica. Per capire quali potrebbero essere i risvolti negativi ad una apertura non sufficientemente ponderata e governata di arruolamenti di personale straniero, basterebbe ricordare cosa successe nel 2003 in una scuola di Ofena(AQ), quando Adel Smith, presidente dell’Unione Mussulmani d’Italia, sollevò il problema della presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche, dato che quel “cadavere in miniatura” turbava la sensibilità dei bambini. Tale richiesta provocò immediatamente una sollevazione popolare tra favorevoli e contrari e un imbarazzo generale anche a livello politico.
La richiesta di Smith fu da prima avvallata dal Tribunale dell’Aquila, che nel 22 ottobre 2003 ordinò la rimozione dei crocifissi nelle aule scolastiche. Tale sentenza venne poi confermata nel 3 novembre 2009 dalla Corte dei Diritti Umani, che con la sentenza Lautsi v. Italia ordinò all’Italia di rimuovere tutti i Crocifissi da tutte le aule scolastiche, multando al contempo il nostro Paese con una sanzione pecuniaria. Tale verdetto venne poi ribaltato il 18 marzo 2011 in 2° grado, quando la Grand Chambre assolse l’Italia permettendo il ripristino dei Crocifissi nelle scuole italiane. Quest’ultimo esempio dovrebbe dar l’idea di cosa potrebbe succedere se una tale situazione si verificasse non nei confronti di bambini inconsapevoli, ma di Soldati adulti, formati, ben motivati e con una forte e cosciente identità Cristiana, se a causa di “neo personale straniero” si vedessero negate la loro storia e le loro tradizioni culturali italiane e cattoliche.
Proprio questo ultimo esempio ci propone di fronte un ulteriore possibile problematica legata alla presenza nelle strutture militari di un cappellano militare. Per lo stesso motivo che rende possibile la presenza nelle caserme di un cappellano, gli si dovrebbe affiancare un rappresentante di ogni altra religione conosciuta; peggio ancora, si dovrebbe eliminare la presenza del cappellano militare nel caso in cui risulti impossibile tale situazione di pluralità religiosa, onde evitare di dover rivivere le situazioni sopra descritte.
Terminata la possibile problematica legata alla negazione della cultura Cristiano-Italiana, tornerei a considerare un ragionamento generale rispetto a tale proposta di reclutamento. Con l’avvallo di simile proposta, tali “truppe straniere” riempirebbero i ranghi di persone senza le tradizioni e gli ideali in precedenza enunciati e descritti, ma con la sola finalità di uno stipendio e di una cittadinanza certi.
Tra le ragioni del declino dell’Impero Romano troviamo conferme alla mia tesi.
Negli ideali del Soldato italiano moderno non rientrano affatto, come è subcultura di altri Eserciti e popolazione(presumibilmente quella da cui vedremo giungere il maggior numero di richieste di arruolamenti), il contemplare e accondiscendere, comportamenti carenti di etica, moralità umanità e ogni altro eccesso che anche ai giorni nostri continuano a riempire le notizie di cronaca.
Il concetto chiave di Pace, così come enunciato anche dall’art. 11 della nostra Costituzione, è patrimonio culturale di tutto il Popolo italiano e non solo degli uomini e delle donne in divisa.
Non credo che si possa costruire un Esercito di gente approdata al nostro Paese secondo le vie più rocambolesche e per i motivi più disparati.
Le analisi devono essere fatte senza pietismi, con asettica razionalità e fino in fondo.
In nessuna battaglia credo che un uomo dotato di ragione sacrificherebbe, incondizionatamente, la propria vita in favore di una Patria verso cui non nutre alcun tipo di legame.
Mi si potrebbe opporre il fortunato precedente italiano dei “soldati di ventura”, o altri esempi esteri come i famosi “Royal Gurkha Rifles”, ma i presupposti erano e sono assolutamente diversi e meriterebbero un serio approfondimento.
In opposizione a quanto enunciato, si potrebbe citare una tra le varie “mission” che si propongono le Forze Armate, cioè quella relativa all’integrazione, armonizzazione e coesione dei vari appartenenti alla stessa Istituzione, ma provenienti da diverse regioni italiane, quindi da realtà culturali dissimili.
Questo è sì vero, la divisa risulta essere un eccellente elemento di integrazione interculturale tra diverse realtà, ma risulta ugualmente vero che a causa della situazione socio-economica attuale dell’Europa e delle Forze Armate, al momento, non si riuscirebbe ad indirizzare in maniera efficace tale importante novità quale è l’arruolamento di stranieri.
Non è infine indubbio che questi possibili Soldati stranieri potrebbero provenire da tutti quei Paesi teatro di disastrose situazioni economiche e critiche condizioni sociali, dei quali sarebbero portatori delle criticità anche psicologiche da cui sono in fuga.
Anche la sociologia ci viene a favore in tale argomento, intendendo attualmente mancante, in un eventuale arruolamento di “stranieri”, la giusta visione da parte degli stessi della nostra Nazione: “la Nazione come ethnos quale appartenenza di natura culturale e Nazione intesa come demos quale appartenenza alla polis cioè allo Stato, con tutto ciò che di conseguenza scaturisce in diritti, doveri e termini di lealtà alla costituzione democratica del Paese” (cit.).
Anche questo argomento meriterebbe un serio approfondimento.
Credo che oggi il premio dello status di cittadino italiano sia per molti un premio troppo allettante che certamente riuscirebbe a compensare la mancanza di motivazione, di convinzione, di spirito di sacrificio nei confronti della Nostra Patria, ma che scaturirebbe in un lavoro qualitativamente ed eticamente insoddisfacente, alquanto pericoloso per l’unicità morale, il prestigio e l’immagine delle nostre Forze Armate e quindi del nostro Paese.
Negli ultimi anni ho avvertito sforzi di miglioramento dai vertici delle Forze Armate Italiane, ma bisogna andare oltre. La buona volontà da sola non basta, ci vuole anche impegno, dialogo tra i vari ranghi, addestramento, convinzione, strumenti, armamenti, divise e attrezzature adeguate, innovazione.
D’altronde, mi pare che il fatto di avere delle Forze Armate più efficaci, efficienti, consapevoli e coinvolte, sia stato voluto e garantito inizialmente dall’avvenuta riforma riguardante l’abolizione dell’arruolamento obbligatorio, successivamente dall’inserimento delle donne in armi, per finire con le riforme e direttive attualmente volute e diramate dagli attuali vertici militari come ad esempio l’attuale Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale di Corpo d’Armata Claudio Graziano.
Queste innovative riforme hanno permesso alle Forze Armate di passare da “l’uomo giusto al posto giusto” a “la persona giusta al posto giusto”, valorizzando allo stesso modo uomini e donne con le stellette capaci di creare, quindi, un “Esercito della gente e nella gente”(cit.).
Come se tutto questo non bastasse, c’è ancora da considerare l’impegno delle Istituzioni da Voi rappresentate che, proprio in questi giorni, si stanno spendendo per razionalizzare e migliorare tale Comparto Difesa, oltre ad una possibile sinergia tra questo e la struttura della Protezione Civile.
Ma, se l’origine dei maggiori problemi relativi agli arruolamenti vuole essere ricondotta alla mancanza di nuove leve volontarie, allora credo che l’argomento debba essere affrontato in altro modo.
Ci si dovrebbe domandare per quale motivo ancora oggi pochi giovani sentano questo richiamo, e purtroppo troppi non sentano il valore del prestare servizio per il proprio Stato.
Questo studio però, non lo farei da un ufficio attraverso carte e numeri, congetture ed ipotesi, o chiedendo a chi non è parte direttamente in causa, ma bensì attraverso obiettive e approfondite indagini svolte sul campo, tra la gente e con la gente oggetto del problema ma non parte dello stesso. Purtroppo questa realtà analizzatrice, a mio avviso, non è stata ben indirizzata.
L’occhio e la mente critici dovrebbero essere immersi fisicamente tra il personale già in servizio e quello possibilmente arruolabile, rimanendoci un tempo idoneo a reperire reali, sincere e non filtrate informazioni.
Il vivere a stretto contatto con il personale già arruolato servirebbe a capire quali siano state le enormi delusioni vissute dopo l’arruolamento e le rispettive ragioni che le hanno causate.
Il vivere a stretto contatto con il personale “potenziale” servirebbe a conoscere e a capire quali possano essere le enormi aspettative riguardo ad una loro ipotetica vita in divisa, onde preventivare e quindi annullare le possibili enormi delusioni.
Si sa, “Grosse aspettative corrispondono a grosse delusioni”.
Queste valutazioni appena discusse dovrebbero essere effettuate utilizzando realmente e nel concreto gli stessi strumenti impiegati con successo nel settore privato in ambito aziendale, per poi agire a monte, cercando di far emergere laddove ce ne siano, le naturali propensioni e motivazioni che spingono un giovane italiano ad un arruolamento consapevole e maturo.
Tendiamo alla qualità, a seminare il verbo dell’impegno ideale tra i giovani, guardiamo il Tricolore senza retorica e con orgoglio, infoltendo così le fila di gente forse dalla pelle di vario colore, ma con i medesimi sentimenti nell’animo.
Tutto questo è per evidenziare come un progetto sicuramente fattibile, innovativo e proficuo con altre condizioni di partenza, al momento, porterebbe alle Forze Armate Italiane solamente instabilità ad un già debole e precario equilibrio, quale al momento è quello vissuto da tale Comparto a causa dell’attuale situazione socio-politica-economica.
Sperando di esser stato esaustivo circa il problema sopra esposto, vado a rappresentare il secondo motivo di questa mia.
Qualità nell’Amministrazione delle Forze Armate Italiane
La ragione per cui ho deciso di scrivere questa mia lettera sul problema della qualità nell’amministrazione delle Forze Armate è strettamente legata ai concetti appena espressi.
Nel corso della mia vita, è emersa una spontanea e disinteressata passione per le nostre Istituzioni, tra queste spiccano quelle militari.
Un’attenzione influenzata si da fattori esogeni, quali concrete esperienze lavorative maturate a stretto contatto con l’ambiente militare, ma soprattutto frutto di un personale percorso di crescita interiore, se crescita si può definire la raggiunta consapevolezza di ciò che si vuol fare, essere.
Secondariamente, questa lettera ha pure un motivo meno personale e più legato al contesto socio-politico attuale che influisce in maniera diretta e forte sulla fase di grande cambiamento attualmente in corso del nostro Paese, quindi anche della struttura militare italiana.
La ragione perpetrata dallo Stato Italiano in questi ultimi anni, con i conseguenti tagli alla spesa destinata alla Difesa, l’immane e lodevole sforzo per la realizzazione di un sistema di Difesa basata sul personale Volontario, sia maschile che femminile, sempre più specializzato, nonché le sempre più frequenti missioni estere, hanno reso più di prima necessaria una accorta gestione delle risorse.
Se tale vincolo economico già può essere problematico in una impresa produttrice di beni di consumo, nel sistema difensivo italiano gioca un ruolo ancora più rilevante per la sensibilità e complessità del settore.
Minori risorse, in relazione ai maggiori impieghi in missioni estere, nonché agli stanziamenti degli altri stati membri, implicherebbero un minor livello qualitativo delle attività svolte dalle Forze Armate italiane, se non si intervenisse su altri fattori per mantenere uno standard qualitativo adeguato. Le leve su cui agire sono essenzialmente due:
– la razionalizzazione e l’ottimizzazione del sistema, in tutte le sue attività;
– il miglioramento del benessere del personale, ossia la sua salute fisica e mentale.
Il sistema Decisionale e di Comando è quindi chiamato sì ad una gestione del personale secondo efficienza ed efficacia, ma senza tralasciare quella dose di umanità e comprensione che renderebbe la vita del Soldato sicuramente migliore e, di conseguenza, il “mestiere delle armi” più attrattivo nei confronti dei giovani. Questo, ne sono convinto come lo sono molti militari, certo non influirebbe negativamente sulla professionalità del servizio prestato, che può essere costantemente valutata con codificati parametri già in atto. Anzi, sarebbe sicuramente maggiore la motivazione del personale in servizio, facendo quindi diminuire le domande di passaggio nelle Forze di Polizia o di proscioglimenti prematuri, aumentando al contempo quelle per l’arruolamento; di questo ne gioverebbe anche la qualità finale del lavoro svolto in servizio.
L’autorità, si sa, per essere tale deve poggiare sulla condivisione delle regole da parte del “subordinato” e questo vale a partire dalle situazioni più basilari e semplici per finire a quelle più vitali e complesse.
Alcuni esempi riferiti a semplici necessità basilari, per fare intendere meglio il concetto:
• in tutte le caserme vige la regola del rientro notturno dei Soldati al Reparto entro le 01:00, o altro orario prestabilito. Ciò vale anche durante i weekend, in pratica quando il soldato non presta servizio. Faccio notare che gran parte dei Soldati vive all’interno della struttura militare sia per l’alto costo delle case, soprattutto in relazione ad una remunerazione tra le più basse degli eserciti europei, sia perché impegnati per gran parte dell’anno in missioni estere e attività fuori sede. Non si può porre il fatto che ciò avvenga per motivi di sicurezza, giacché all’entrata è prevista la presenza di un controllo teoricamente continuo, e che il controllo notturno non ha ragionevole motivo di essere ritenuto più rischioso o meno efficiente di quello serale. Se bastasse l’apertura notturna di un cancello a far venir meno la sicurezza di una struttura militare, allora bisognerebbe rivalutare il sistema difensivo della stessa poiché forse non sufficientemente adeguato. Altra motivazione sempre addotta dai vari Comandi è riferita al fatto che così si disincentiva il “far tardi la notte”, comportamento che porterebbe, a loro dire, un calo di qualità nelle prestazioni lavorative del giorno dopo.
Il punto è questo: sono militari volontari e professionisti, sono ritenuti in grado di difendere il nostro Paese, di maneggiare armi e complicati strumenti tecnologici, ma si mette in dubbio la loro capacità di gestire il loro tempo libero, ore notturne comprese.
Non esiste forse un sistema di valutazione del rendimento dei volontari?
Saranno le sanzioni o le note caratteristiche insufficienti a carico del soldato inadempiente a supporre questo inadatto alla vita militare. Ci sarebbe così un ulteriore selezione del personale. Ciò, se ben prevista, purtroppo avviene molto raramente;
• il VFP1 (Volontario in ferma prefissata di un anno), seppur impiegato in attività analoghe a quelle dei colleghi VFP4 (Volontario in ferma prefissata di quattro anni) e VSP (Volontario in servizio permanente), non vede valorizzato il proprio lavoro avendo come proporzione dei recuperi per le attività svolte in regime di straordinario, un recupero pari ad 1/3 (33%) invece che 1/1(100%) come per le altre categorie. Non è molto gratificante e stimolante tale remunerazione nei confronti di questa categoria di Volontari;
Questo, senza enunciare altri innumerevoli esempi, per dire che ci sono oggi validi presupposti e motivi per istituire anche nella struttura delle Forze Armate un valido sistema di controllo della qualità di matrice aziendalistica, che faccia della razionalizzazione dei processi e delle regole, della soddisfazione e della motivazione del personale un proprio primario obbiettivo.
La talora dubbia considerazione che ancora oggi parte della società ha nei confronti delle Forze Armate e dei loro appartenenti potrebbe essere uno stimolo di rivalutazione su possibili adeguamenti.
La tecnologia avanza, le moderne teorie economiche trovano con essa nuovi ambiti applicativi, le aspettative dei cittadini crescono, il Governo del Paese si adegua, seguendo standard dettati da istanze esterne superiori nonché da pressioni interne, ma le Forze Armate sembrano purtroppo essere scarsamente sensibili a tale evoluzione del contesto in cui operano.
Le Forze Armate italiane ancora sono, infatti, sotto diversi aspetti, scarsamente competitive rispetto agli altri eserciti europei con cui un confronto quotidiano e “senza veli”, fa spesso emergere sostanziali lacune tecniche, tattiche, logistiche e organizzative.
Molte delle attuali teorie di economia aziendale, in particolare di organizzazione del lavoro e di pubblica amministrazione, possono secondo me essere meglio e più efficacemente applicate al settore militare, che sicuramente non è esonerato dal vincolo della scarsità delle risorse, quindi, dalla necessità di un’organizzazione efficiente, ma soprattutto dalla strategicità della componente umana.
In altre parole si dovrebbe “ripensare” un Sistema reso più efficace ed efficiente attraverso tecniche attuali, moderne, peculiari, in cui:
• L’errore abbia realmente valore di precedente.
L’errore sia sempre motivo di riflessioni sulle cause, onde evitare una sua ripetizione.
Le attività dovrebbero svolgersi, quindi, sempre secondo il ciclo P.D.C.A. (Plan-Do-Check-Act), vale a dire Pianificare, Procedere, Controllare, Agire, sulla base dei nuovi elementi emersi dal controllo, che quindi hanno un’importanza chiave nel ciclo. Un Ciclo teoricamente continuo che porti verso la “Qualità Totale”, grazie ad un miglioramento perpetuo.
Un problema secondo me troppo spesso trascurato, ad esempio, sta nel fatto che non sempre chi viene preposto alla gestione e al controllo delle attività possiede esperienze, voglia di fare, titoli e conoscenze oggettive e rilevanti, a partire dal Comandante di squadra a salire. Di sovente capita anche che la persona scelta come dirigente e controllore, pur avendo tali doti su carta, non sia in grado di metterle in atto nella maniera più idonea sul campo. In una seria e ben gestita azienda privata non credo avvenga frequentemente che un dirigente venga insignito di un incarico rilevante solo per aver presentato una Laurea, senza essere sottoposto in precedenza ad una valutazione specifica e dettagliata delle sue reali possibilità umane e professionali o peggio ancora solo per amicizie parentele e simpatie.
Il lavoro del militare è particolarmente delicato e l’errata valutazione che può avere un Comandante, ripeto di qualunque livello, con scarse conoscenze dell’incarico ricoperto può risultare vitale.
• Lo scopo dell’allenamento fisico e dell’addestramento tecnico-tattico sia quello di formare il personale militare ad un alto livello qualitativo, superando due lacune strutturali soventemente presenti nella formazione militare istituzionale: standardizzazione e lontananza dalle reali esigenze sul campo.
Si dovrebbe valutare un addestramento che consideri non solo le capacità/strumenti del personale coinvolto, ma soprattutto le reali e concrete condizioni che questo troverebbe sul campo.
Una formazione non rapportata alle reali caratteristiche fisiche, psicologiche e tecniche del personale coinvolto e alle tecniche, alle strategie e agli strumenti frequentemente praticabili in Teatro Operativo, può infatti avere conseguenze letali, mettendo a rischio l’incolumità del personale sul campo e, di conseguenza, l’esito stesso dell’operazione militare.
Adattamento, personalizzazione e realismo sono, quindi, tre principi cardine su cui dovrebbe vertere l’addestramento del soldato a prescindere dal tipo di Reparto in cui opera, ma purtroppo questa è situazione ancora assai lontana dall’oggettività vissuta dagli Operatori nei reparti. A mia sommessa opinione ad esempio, ai nostri giorni e con i difficili impieghi esteri attualmente in atto, correre incontro ad un materasso, per infilarci la baionetta inastata sul proprio fucile, sparando dove capita solo “per dar l’idea al nemico di poter essere colpito”, il tutto svolto con modalità e finalità che ripeto, sempre a mio parere, ben lontane dalle realtà e difficoltà quotidianamente incontrate nelle missioni estere, non credo sia il miglior tipo di addestramento possibile per delle truppe.
• Si tenga adeguatamente conto delle esigenze del Soldato, non come elemento transitivo tra la ricezione degli ordini e l’esecuzione, ma in quanto Militare ed in quanto Persona. L’insoddisfazione del personale ed una scarsa comprensione di alcune regole compromettono la resa del servizio prestato, quindi la struttura stessa delle Forze Armate;
• Il soldato, come la storia dovrebbe insegnarci, non si veda costretto ad andare in “teatro d’operazioni”, con materiali di vestiario, calzature e buffetterie di fattura altamente scadente e inadatta alle rigidità climatiche dei paesi in cui normalmente viene chiamato ad operare. La qualità dei trattamenti, degli strumenti e dei mezzi forniti sia omogenea nel tempo e nello spazio;
• I materiali fatti “fuori uso” siano indirizzati verso una riqualificazione sostenibile. La fruttuosa operazione di vendita, scambio beni/servizi con la società civile, o al massimo la donazione ad enti come ad esempio scuole, palestre, orfanotrofi, associazioni sportive, biblioteche, o anche solo agli stessi militari, sono concetti raramente attuati ma che potrebbero portare importanti guadagni all’Istituzione oltre ad una migliore visione e quindi integrazione da parte del mondo civile, se ben gestita anche a livello comunicativo;
• Ci sia un miglior utilizzo delle risorse economiche, rivalutando spese che forse sono ormai anacronistiche. Ad esempio, un soldato paracadutista fuori corpo (brevettato ma in servizio in un reparto non paracadutista), seppur non effettuando i lanci annuali previsti, si vede lo stesso corrispondere una cospicua indennità di “aeronavigazione”. Tale indennità economica non dovrebbe essere elargita nelle modalità attuali, cioè anche a chi è fuori dai reparti paracadutisti e non effettua lanci, bensì dovrebbe essere riconosciuta in rapporto ai lanci realmente effettuati dai paracadutisti ancora operativi in tale attività. Questo, oltre a gratificare quei militari che per motivi addestrativi e operativi effettuano in un anno più lanci rispetto ai sei prescritti per il mantenimento dell’indennità di aeronavigazione, venendo quindi esposti a conseguenti maggiori pericoli oggettivi e a più frequenti problematiche fisiche, garantirebbe all’amministrazione un importante risparmio economico e gestionale. Questo è solo uno dei molteplici esempi.
• Le strutture non siano fatiscenti come purtroppo risultano essere nella situazione attuale gran parte di esse. Attualmente esistono caserme con locali e camerate in cui non vengono garantiti al personale alloggiato diritti come il livello di sicurezza dettato da leggi dello Stato, o il minimo livello di privacy, entrambi situazioni indispensabili al Soldato per vivere, anche in una struttura militare, con la dovuta dignità di Uomo;
• Non si trascuri l’immagine esterna delle Forze Armate, “promotion” questa indispensabile per un consenso popolare di cui il Soldato ha moralmente e psicologicamente bisogno, nonché per una maggiore forza attrattiva della professione di Soldato volontario.
Ancora troppo spesso la divisa viene vissuta da una parte del Paese, come uno strumento di potere utilizzato da una classe dominante per compiere un controllo sociale e per una imposizione del potere.
Un obbiettivo primario da parte delle Istituzioni dovrebbe essere quello di meglio chiarire all’opinione pubblica, che contrariamente da quanto portato avanti da pregiudizi e da disinformazione, l’uniforme non è sinonimo di abuso, violenza, sopraffazione e morte, visione attuale anche a causa di recenti cronache nere nazionali ed internazionali.
Sarebbe vantaggioso per l’intera Istituzione meglio proporre sia il Soldato sia il Comparto Difesa come realtà parti integranti del Paese, formate da uomini e da donne semplici nel modo di vivere, normali nei comportamenti interpersonali, sani nei rapporti familiari, ma al contempo fortemente e straordinariamente attaccati al resto della popolazione e alla Patria, verso le quali non lesinano sacrifici e privazioni, fino a rinunciare, nel caso fosse richiesto e necessario, alla propria vita in favore di Esse.
Bisognerebbe meglio “enfatizzare” che “L’Esercito di oggi è formato da persone che, per etica e per valori in cui credono, sono armate per non usare le armi e forti per non usare la forza, ma per educare alla pace e alla non violenza i popoli oppressi dalla guerra” (cit.).
Ancora oggi vedo che chi dovrebbe essere promulgatore dell’immagine della Divisa lo fa con scarsi risultati a causa di motivi volontari e/o involontari più vari. Ad esempio, per la mia visione circa i sentimenti e gli ideali racchiusi nelle “Divisa”, è inconcepibile ancora oggi sentir proferire indottrinamenti del tipo: “Noi Soldati al mondo civile dobbiamo sempre e comunque dire che va tutto bene e che non ci sono problematiche nelle Forze Armate. Anche in presenza di reali e oggettive problematiche, a volte è meglio non dire la verità”.
Dato che non si parla di segreti di stato, oltre il basso valore etico, umano e militare di tali affermazioni, visto che viene detto ai militari di mancare di “lealtà” nei confronti della Patria e del Popolo Italiano verso cui hanno giurato incondizionata fedeltà, mi risulta anche difficile concepirle come il “miglior modo” per garantire e promuovere l’immagine delle Forze Armate Italiane.
Troppo spesso si tende a rivalutare l’immagine della divisa con metodi che non tengono conto dell’epoca in cui siamo, dell’evoluzione culturale vissuta dalla popolazione, delle nuove tecnologie di cui disponiamo, delle potenzialità che abbiamo e dei moderni metodi di comunicazione ormai consolidati che tendono sempre più a valorizzare tanto le peculiarità oratorie del promotore, quanto le caratteristiche multiple e specifiche di chi deve ascoltare, oltre indubbiamente ai contenuti.
La non diversificata e mirata comunicazione troppo spesso fa si che non si raggiunga il fine della comunicazione stessa, vanificando lo sforzo sostenuto dalle Istituzioni in termini di uomini, mezzi, tempo e denaro e quindi riscuotendo un risultato insoddisfacente.
I Militari italiani di oggi sanno benissimo che la forza morale e le proprie radici non vanno cercate soltanto nel senso del dovere, nello spirito di sacrificio e nelle tradizioni dei reparti, ma soprattutto nel continuo contatto con gli altri, nel rapporto aperto e sincero e nel consenso della popolazione;
• L’Amministrazione militare rivaluti, sfruttandole al meglio, tutte le forme di comunicazioni non verbali adoperabili per aumentare la considerazione e il rispetto ricevuti da parte del mondo civile. Ad esempio, dato che parte dell’opinione pubblica ancora vede il Soldato Professionista come un “caporale di leva”, si potrebbero allora rivalutare alcuni aspetti di questo, come ad esempio il nominativo riferito al grado e alcuni “simboli” inseriti nella divisa, nello specifico:
– Per quanto concerne i nomi dei gradi riferiti ai Volontari in Servizio Permanente (V.S.P.), si sarebbe potuto scegliere un nome capace di tagliare i ponti con il sistema precedente, anche per dar modo al resto del Paese di percepire e di comprendere in maniera diretta e immediata, l’avvenuto miglioramento, voluto dalle Istituzioni con tale innovazione.
Il fatto di aver lasciato nel nome dei gradi relativi ai V.S.P. la parola “Caporale” non ha dato modo ai civili di leggerne il cambiamento, visto che ancora oggi quando ad un Soldato professionista gli viene chiesto il grado rivestito, questo rispondendo Caporal Maggiore Capo Scelto (venti anni di servizio) gli viene ancora contro risposto “A quaranta anni sei ancora caporale?”. Questo non mi meraviglia poiché ancora oggi anche alcuni Ufficiali non conoscono i gradi dei volontari e a volte la realtà del V.S.P.;
– Per quanto concerne i “simboli” inseriti nella divisa, ogni militare sottolinea esteriormente la propria identità e il proprio valore, anche attraverso una serie di strumenti che comprendono l’uniforme ed i rispettivi accessori tra cui spiccano distintivi e nastrini. I distintivi e i nastrini, oltre che ad identificare le esperienze operative, i brevetti e le qualifiche ottenute, vengono utilizzati per riflesso, per la voglia di sentirsi autentici e diversi dagli altri, soprattutto per tenere viva in se stessi e negli altri la memoria di qualche evento a cui si è particolarmente legati (campagne militari, corsi, anzianità di servizio etc.). Il motivo sta nel fatto che una divisa piena di distintivi e di nastrini potrebbe sia aumentare nel Soldato la considerazione di se stesso, quindi ottenere un netto miglioramento del lavoro svolto, sia una migliore comprensione e considerazione che il Popolo Italiano potrebbe avere nei confronti del Comparto Difesa. I Soldati che hanno partecipato a missioni estere, conseguendo anche il successo in combattimento, vengono considerati veterani e parte di una élite anche grazie alle onorificenze presenti sulle loro uniformi. Proprio questo miglioramento appena descritto dovrebbe far prendere in considerazione l’ipotesi della realizzazione di un nastrino per ogni tipo di corso e/o attività tenuta dai Soldati, garantendo una diversa visibilità delle nostre divise, quindi stimolando anche una più larga abitudine per i Soldati ad utilizzare l’uniforme Ordinaria estiva e invernale, per la libera uscita. Questo maggiore e migliore uso della divisa militare anche al di fuori del servizio (es: licenze), potrebbe quindi portare ad una successione logica ed automatica di realtà positive riferite sia alle Forze Armate sia alla popolazione. Un aumento delle divise nelle strade e nella vita della popolazione civile garantirebbe una maggiore e oggettiva sicurezza data sia da una deterrenza preventiva data dalla presenza stessa, e sia da un obbligo ad intervenire in caso di necessità da parte dei militari in divisa (es. “strade sicure” o il poter viaggiare gratuitamente sul treno). Questa presenza visibile dei militari diventerebbe, proprio perché continua, una realtà normale e accettata da tutti, poiché “familiare”.
Tutto questo avrebbe come risultato un miglioramento interno ed esterno all’Istituzione militare per quanto riguarda qualità della vita e conseguenti risultati professionali, con un dispendio minimo di energie.
A conferma di quanto detto basterebbe vedere quanto prestigio e quanto rispetto ottengono le multi decorate divise dei militari dell’esercito U.S.A., ai quali vengono conferiti nastrini e distintivi anche per i semplici addestramenti ordinari;
• Venga implementato in maniera ottimale ed informatizzato il sistema gestionale dei dati utilizzato all’interno dei Reparti militari. Il flusso di dati, ad esempio, anche tra uffici vicini per posizione e per finalità, avviene ancora con modalità e con velocità assolutamente non consone alla efficienza ed efficacia della tecnologia ormai presente sul mercato. Esempio elementare: un militare di nuova assegnazione ad un reparto deve compilare molteplici ed identiche “schede notizie” cartacee per ogni singolo ufficio presente nella caserma, invece di compilarne una soltanto, che venga messa poi in rete e che quindi sia fruibile da tutti.
• Un sistema di valutazione e selezione del personale partecipante ai vari concorsi di arruolamento e/o passaggi di grado che non lasci adito alla possibilità di incorrere in scelte dettate non da reali ed oggettive caratteristiche fisiche, morali ed intellettuali, bensì dalle “amicizie” migliori o meglio posizionate, sfoderabili dai vari canditati. Forse una semplice correzione immediata tramite lettore ottico, con contestuale e pubblica conoscenza del risultato già al momento della consegna dei test darebbe modo di scongiurare tale eventualità;
• La qualità della vita del Soldato riferita alla sede geografica lavorativa non vada ad influire negativamente con la serenità personale e familiare, quindi alla produttività dello stesso. Un sistema gestionale che riesca a concretizzare una modalità di movimentazione più vicina alle aspettative del personale interessato, compatibilmente con la disponibilità delle caserme, darebbe modo a dei miglioramenti sostanziali della qualità della vita dei militari e di conseguenza delle Forze Armate;
• L’Istituzione militare si facesse ancora di più parte attiva nella problematica “alloggi”, per i militari e per i loro famigliari. Le strutture esistenti sono troppo esigue nei numeri e troppo poco moderne nella struttura e nella concezione. Ormai il Soldato e la propria famiglia vivono in maniera sinergica, godendo e soffrendo insieme di tutto ciò che gli accade intorno. Per questo motivo, realizzare su larga scala in Italia un sistema di “struttura-villaggio abitativo moderno” nel quale sia i militari che i famigliari si sentano parte integrante della stessa comunità, darebbe ad entrambi serenità e slancio nella vita privata e lavorativa. Il modello americano, in cui vita privata e professionale coesistono in simbiosi, sia in Patria sia all’estero, è già un ottimo esempio da cui partire per poter realizzare un sistema interattivo atto ad aumentare, oltre il benessere del personale, anche il sistema di integrazione tra mondo civile, famiglie e mondo militare.
Innovative realtà abitative, come il modello americano appena preso in esame, possono anche tornare economicamente convenienti alla struttura militare. E’ ormai consolidata la consuetudine per i militari e/o altri corpi armati dello Stato, di unirsi in cooperative per costruire abitazioni di alta qualità a prezzi assolutamente convenienti e fuori mercato. Le Istituzioni militari potrebbero supportare, indirizzare e sfruttare questa tendenza all’investimento economico perpetrato dai militari per la realizzazione a costo zero di nuove Caserme-Città militari, mod. USA.
Le forze Armate avrebbero così facendo strutture innovative e confacenti le necessità logistiche e operative. I Soldati dal canto loro avrebbero, oltre alla garanzia della buona riuscita dei lavori grazie alla supervisione dello Stato, alloggi a prezzi probabilmente ancora più economici e al contempo la comodità dell’avere a portata di mano casa, sede lavorativa, scuole e tutte quelle realtà necessarie alla vita di tutti i giorni, con un evidente migliore gestione di soldi, tempo, serenità, stress. Questo sistema andrebbe anche ad alleviare il conflitto dualistico famiglia-lavoro vissuto dal Soldato, fonte spesso di una crisi psicologicamente gravosa che di sovente sfocia nella distruzione del nucleo familiare. D’altronde la natura primaria della famiglia implica che la condizione di uno dei membri sia largamente condivisa e sentita come propria da ciascun altro membro della famiglia stessa; tutto questo permetterebbe al coniuge non militare di vivere con più facilità in un ambiente conscio delle proprie problematiche in quanto condivise. Le famiglie serene, grazie ad una situazione logistica favorevole, garantirebbero una distensione psicologica del proprio caro, magari impegnato in missione fuori area (peraltro ciò favorirebbe la creazione di nuove opportunità di lavoro in vari settori in gravi crisi come ad esempio quella dell’edilizia);
• Un soldato ammalatosi per cause relative ai servigi prestati alla propria Patria non debba dilapidare tutto il proprio patrimonio in avvocati per far riconoscere una semplice ed evidente “causa di servizio” e la conseguente retribuzione inerente “l’invalidità” e “l’accompagno”. Il sentirsi abbandonato dalla Patria e dalle Istituzione da sempre amate, difese e rispettate, nel momento in cui ferve la battaglia più dura, rende la vita al militare e alla rispettiva famiglia una sorta di baratro infernale senza via di uscita.
Sicuramente il doloroso caso dell’ex Ranger V.S.P. Antonio Attianese (348-9331659, 338-5789041, antonio.attianese@persociv.difesa.it), marito e padre di una bambina di 4 anni e un bambino di 3 anni, reduce dal suo trentunesimo intervento(31) e dal suo sessantesimo(60) ricovero in ospedale a causa di “infermità neoplasia vescicale, multirecidiva in attuale follow-up, cistectomia radicale e confezionamento di neo vescica ileale, nefroureterectomia destra, uretrectomia anteriore e a confezionamento di uretrostomia perineale, metastasectomia polmonare destra e recente riscontro di localizzazioni polmonari, prossimo alla dialasi, etc” e in cura da anni, insieme alla moglie, presso lo Psichiatra della A.S.L. Salerno 1, per crisi depressive, sarebbe da prendere in esame in maniera seria e umana.
Il fatto che una persona con incerta durata della vita si veda ogni volta rimandare di sei mesi in sei mesi le udienze del procedimento legale che lo stesso Soldato ha dovuto perpetrare per vedersi riconosciuto il diritto di tutela da parete delle Istituzioni, di certo non migliorano le condizioni fisiche e psicologiche di vita del militare in questione e della rispettiva famiglia.
Questo caso è solo un esempio emblematico di tale sempre più presente problema.
• Viste le continue attività estere, sempre più frequenti e sempre più impegnative sotto vari punti di vista, venga valutato opportuna l’implementazione di un servizio psicologico-sanitario riferito alla prevenzione e assistenza verso disturbi psicologico-comportamentali, come il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), il Disturbo Acuto da Stress (ASD), o il Disturbo dell’Adattamento.
I Soldati sarebbero più sereni nel venire impiegati nei teatri operativi, sapendo che al rientro un loro disturbo comportamentale verrebbe preso come “conseguenza ordinaria” degli eventi vissuti e quindi curato con naturalezza. Ora i Soldati invece vivono ogni situazione di stress incontrata nelle attività con l’aggravio di dover fingere di non aver disturbi o problematiche (che comunque si rifletteranno sull’operato e sulla famiglia), per paura di possibili conseguenze negative nel servizio, quindi sulla famiglia;
• Si pensi ad un ausilio psicologico non solo per supportare il Soldato, di qualsiasi grado, o le rispettive famiglie in momenti difficili e dolorosi, ma anche per migliorarne alcune caratteristiche psicologiche assolutamente vitali nel mestiere delle armi come già avviene nel settore privato. Un esempio potrebbe essere riferito all’arte del “saper decidere” e riuscire a farlo in tempi rapidi, prerogativa vitale oltre che necessaria del Soldato. La decisione, come ogni altro procedimento mentale, può essere stimolata, migliorata e indirizzata al contesto in cui l’individuo andrà ad operare. La scienza ormai può facilmente compensare la poca esperienza tecnico-specifica o umana maturata dalla persona, portandola comunque a prendere scelte importanti ed immediate con una naturalezza, una rapidità e una precisione tali, da ottenere seri e concreti benefici non solo verso se stessa, ma anche nei confronti della struttura dove è inserita. Un militare consapevole delle proprie caratteristiche mentali oltre che fisiche, ha come conseguenza un netto miglioramento della propria condizione e potenzialità, quindi anche una piena consapevolezza di potersi esprimere intellettualmente e nelle azioni al cento per cento, con sano orgoglio ed entusiasmo, nei confronti dei suoi colleghi e della Patria.
• Venga rivalutata l’esigenza di un sistema interno alle Forze Armate, atto a garantire una tutela legale a favore anche del singolo militare e non soltanto dell’Istituzione stessa, come ad esempio quello americano J.A.G.(Judge Advocate General’s Corps). Questa assenza, sempre più spesso trasforma situazioni risolvibili con modalità e tempistiche semplici ed immediate, in problematiche a volte gravi che causano un dispendio di energie, tempo e fondi da parte dei singoli militari che si vedono costretti a rivolgersi a professionisti esterni per ogni tipo di problematica legale che nasca nei confronti dell’Amministrazione.
In relazione ad alcuni argomenti sopra citati, viene evidenziata una necessità di miglioramento riferita alle politiche sociali inerente il Comparto Difesa. Questo perfezionamento potrebbe essere ricavato da una migliore sinergia tra i due modelli di soluzione esistenti per tale problematica:
1. il modello social-democratico: lo Stato assicura dei servizi di elevata qualità (diffuso in tutta l’Europa Occidentale);
2. il modello liberale: basato sul mercato e sulla netta prevalenza dell’iniziativa privata (diffuso negli Stati Uniti d’America).
Nel modello social-economico, l’intervento delle politiche sociali è di tipo universalistico e viene perpetrato dalle istituzioni.
Nel modello liberale, l’intervento per le politiche sociali viene portato avanti da liberi cittadini che saranno anche i diretti responsabili delle proprie esigenze e problematiche, quindi i finali fruitori delle soluzioni trovate. Questo orientamento di tipo individualistico porta ad una migliore visione delle problematiche vissute dai Soldati e dalle loro famiglie proprio perché ne sono parte in causa. Questa partecipazione diretta della parte interessata rende più efficace ed efficiente la prevenzione delle problematiche, l’immediata individuazione nel caso se ne verificassero d’improvvise, lo studio tempestivo e mirato della cura e l’attuazione finale delle soluzioni trovate con relativi costanti controlli fino al raggiungimento dell’avvenuto buon esito.
Da evidenziare come il modello “welfare privato” rispetto al “welfare pubblico” garantirebbe risultati più convenienti nei costi, migliori nella qualità e più rapidi nei tempi di realizzazione. Non è concetto secondario il notevole risparmio economico di cui gioverebbe l’Istituzione Militare con tale organizzazione.
Il cambiamento auspicato con i vari concetti ed esempi sopra descritti è sicuramente impegnativo e non può essere istantaneo, ma si possono impostare le basi per un mutamento tanto graduale quanto efficace. Condizione necessaria è che tale nuova “cultura del miglioramento” arrivi, sia recepita da tutti i livelli gerarchici e che venga da questi condivisa, responsabilizzandoli.
Si consideri inoltre che nel mestiere del Soldato, che presuppone dei valori impliciti e dell’interesse sicuramente non economico, l’impegno a migliorare il funzionamento delle Istituzioni in cui crede e opera è e deve rimanere naturalmente spontaneo; forse spesso sono mancati gli input e i mezzi per farlo.
Basterebbe solamente individuare ed inserire nella “catena di reclutamento prima e addestramento militare poi” un adeguato elemento catalizzatore, per far uscire fuori in maniera naturale e involontaria caratteristiche come la forza morale, l’onore, l’etica, la tenacia e la saldezza del soldato italiano, virtù militari insite nella cultura e nell’inconscio degli italiani tutti.
Se fino a questo punto mi sono limitato ad esporre il problema in modo razionale e distaccato, questa mia lettera ha anche un motivo più personale ed emotivo.
Noi abbiamo continuamente vissuto, anche in questi ultimi mesi, esempi di Soldati italiani che sia in situazioni operativo-tattiche, sia in quelle logistico-addestrative, si sono visti scaraventare lontani dalla Patria in situazioni e realtà assolutamente oniriche, come la purtroppo ancora dolorosa, surreale, attuale e non risolta situazione dei due Marò Salvatore Girone e Massimo Latorre. Oppure altri che hanno perso la vita, ma sempre comunque in nome d’ideali come la fedeltà incondizionata verso lo Stato, la libertà per gli oppressi, fraternità e altruismo verso i propri colleghi, generosità verso quelle realtà ritenute dalla mentalità comune ostili solamente perché sconosciute.
Questi Soldati sono figli d’Italia, sono nati su di Essa e per Essa stanno soffrendo o sono morti, ma troppo spesso proprio da Essa sono dimenticati o non sufficientemente ricordati e tutelati.
Ogni Soldato, indifferentemente che abbia diciassette o settanta anni di età, che sia un Soldato in ferma annuale o un Generale Capo di Stato Maggiore della Difesa, è cosciente che potrebbe essere costretto a sacrificare la propria libertà e la propria vita per la Patria, sa che in ogni momento potrebbe essere chiamato ad operare in un territorio sconosciuto ed ostile, lontano dal profumo della propria Patria, dalla sicurezza della propria casa e dall’affetto della propria famiglia.
Ma non è questo a spaventarlo, non è la lontananza, né la paura di morire per una causa da lui più o meno condivisa che lo affligge.
La paura con cui convive ogni Soldato, come del resto ogni altro uomo che indossi una divisa, è quella di non riuscire a comprendere o peggio ancora a percepire da parte delle Istituzioni, un impegno reale, attivo ed efficace mirato alla sua tutela e garanzia.
La paura con cui convive ogni soldato è quella di non essere capito, amato e difeso nel momento del bisogno dallo Stato e dal resto del Popolo di cui è parte viva, di cui anche lui è padre, figlio e fratello e per il quale si sta sacrificando.
La paura con cui convive ogni Soldato è quella che di lui si venga a conoscenza solo nel momento in cui compie una azione poco comprensibile per parte del Paese, oppure solo un errore, senza curarsi di quanto piccolo o grande questo sia o se sia stato compiuto in completa buonafede e con finalità altruistiche.
La paura con cui convive ogni Soldato è quella di essere additato con infamia, dimenticando in un attimo anni di valoroso servizio, anni di privazione dagli affetti più cari.
Ci si dimentica troppo spesso che il fatto di indossare una divisa non rende immuni dal “virus” dell’errore. Il Soldato è una persona fatta di carne e di sangue rosso come tutti, e proprio come tutti può sbagliare in buona fede, per passione, voglia di fare, audacia, altruismo, inesperienza, stanchezza, giovane età, tutti fattori e situazioni continuamente vissute e presenti nei nostri padri, in noi, nei nostri figli e nei figli dei nostri figli.
Difficilmente si può comprendere senza provare sulla propria pelle, quale sia per un militare il dolore, il disarmo, la frustrazione e l’umiliazione, dopo anni di eccellenti, leali e incondizionati servigi donati alla Patria, di trovarsi “solo” e abbandonato proprio nel momento di maggior bisogno.
Questi motivi, rischiano di mettere il Soldato, anche il più “navigato”, in una situazione di apatia, di deterioramento mentale e d’inibizione comportamentale, costringendo alla morte ogni suo istinto d’iniziativa e di passione verso il proprio lavoro e i propri ideali, caratteristiche queste essenziali per poter quindi rendere il massimo delle proprie possibilità di uomo, di professionista, di Soldato.
Quanto sopra esposto purtroppo risulta essere più vero e più probabile di quanto non si possa pensare; una situazione del genere, oltre che ad essere inconcepibile per Uomini dello Stato, va anche in netto contrasto all’immane sforzo che tutti i Vertici militari e parte della Politica stanno mettendo in campo per poter migliorare l’immagine e la realtà delle Forze Armate, quindi, dell’Italia. Di questo impegno umano e professionale propenso al miglioramento della vita del Soldato in senso lato, ne sono assolutamente certo, anche grazie a tutti gli esempi positivi visti negli ultimi anni.
Per concludere.
Sui motivi per cui ho deciso di scrivere questa lettera spero di essere stato esauriente, riguardo alla ragione, invece, per cui ho deciso di trovare come miei interlocutori alte cariche dello Stato da Voi rappresentate, Presidente del Consiglio, Vice Presidente della Camera, Generale C.A. Marioli, Presidente Crosetto e la più alta autorità religiosa e guida spirituale della religione Cattolica, Papa Francesco, credo di doverVi delle spiegazioni.
Ho scelto Lei, gentile Ministro della Difesa, poiché oltre all’azione morale e civica nei confronti della Nazione, serve anche una “spinta” costruttiva più mirata e diretta, a volte anche coatta, nei confronti dei Soldati e delle Forze Armate tutte. Sono certo, senza ombra di dubbio, che Lei, nella funzione che rappresenta, per la Sua esperienza pregressa avuta in ambito della Difesa, per il fatto che sia una Donna e come tale detentrice di una mente fervida, lucida, sensibile ed epurata da tutti i pregiudizi invece tenuti di chi è da sempre parte integrante del sistema Difesa, sia la persona più idonea e motivata per effettuare questo delicato quanto edificante compito. Il fatto che sia stata nominata Lei, in quanto donna, nel ruolo di Ministro della Difesa, da sempre roccaforte maschile, è già di per sé un sinonimo di cambiamento, lo stesso che auspico nella mia lettera nei confronti delle Forze Armate Italiane.
Sentendo poi le sue parole e le sue decisioni in merito alla modernizzazione e razionalizzazione delle Forze Armate, credo di poter riporre in Lei speranza, fiducia e rispetto incondizionato.
Il motivi per il quale ho deciso di rivolgermi a Lei Sig. Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale di C.A. Claudio Graziano, sono molteplici e tutti legati alla mia passione maturata nei confronti delle Forze Armate
Avendo, seppur romano di nascita, avuto modo fin da piccolo di vivere e condividere da sempre, anche per tradizione familiare, tutte le peculiarità e tutte le opportunità che concerne indossare il Cappello Alpino, ho potuto conoscere, capire e vivere cosa vuol dire essere un Alpino.
Vivere da vicino la realtà del più antico corpo di fanteria da montagna attivo nel mondo, riuscire a comprendere cosa c’è di buono nell’essere un uomo semplice, un uomo di montagna, riuscire a vivere la capacità che ha l’ambiente alpino di poter creare una simbiosi eccezionale tra le caratteristiche morali come pacatezza, altruismo, generosità, lealtà, fierezza, ardimento, granitica forza di volontà ed eccellente tempra fisica, mi ha reso sempre più orgoglioso e sempre più fiero di aver potuto conoscere e vivere questo Corpo militare, oltre a questa Nazione che ne è stata crogiolo e artefice.
Tutte queste realtà appena espresse sono le stesse che Lei ha sempre difeso e promosso, fin da Comandante del 2° Reggimento Alpini di Cuneo nel 1999, per arrivare ai giorni nostri che la vedono ricoprire il ruolo di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
Ancora adesso, dopo aver vissuto tanti anni e tante realtà lavorative, è costantemente impegnato in prima persona alla “promozione” del Soldato e alla sua crescita professionale.
Questa Sua duplice figura di Alpino e di Comandante dell’Esercito La rendono persona degna di fiducia e speranza per una migliore e continua implementazione del Comparto Difesa.
Mi rivolgo a Lei cordiale Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in quanto ha da sempre evidenziato qualità personali quali una determinazione su cosa fare, una tenacia sul come farlo e una lungimiranza, decisamente fuori dalla norma. Queste caratteristiche presenti nella Sua arte del governo le hanno permesso di concretizzare con relativa facilità, gli avvenimenti le danno conferma, la realizzazione delle sue idee e dei suoi progetti, umani e lavorativi.
Questo elemento di evidente sagacia sommato alla sua innata predisposizione verso una “comunicazione efficiente, efficace e moderna” La rende ottimo e ricettivo interlocutore alle problematiche da me precedentemente esposte.
La volontà di realizzare i suoi progetti finalizzati ad un netto miglioramento del Paese in cui viviamo, facilitata da un’età molto vicina a quella dei militari volontari in servizio, sono poi motivi di comprensione nei confronti delle problematiche e delle aspettative vissute dagli stessi.
Per questi motivi i Soldati professionisti confidano in un suo attivo, etico interessamento circa un sostenibile miglioramento del Comparto Difesa e della propria Patria.
Ho scelto Lei, cordiale Vice Presidente della Camera Luigi Di Maio, perché oltre a ricoprire un’altissima carica della Stato Italiano, seppur giovanissimo di età e di esperienza politica, ha da subito dimostrato un coerente, disinteressato, incondizionato, sincero e umano amore per la Patria, le Istituzioni e per la giustizia in senso lato. Sono proprio queste sue caratteristiche di Patriota e di “uomo del popolo” a renderla persona degna di onore e di speranza nei confronti di tutti i Cittadini, ed è proprio per questo motivo che questi ultimi la amano, la stimano e la ritengono persona estremamente degna di fiducia. Questo, oltre a rendere i Volontari delle Forze Armate molto vicini alla Sua persona per la medesima ed incondizionata passione per la Patria Italia, li accumuna a Lei per il fatto che rivivono in Lei i loro ideali portati avanti con la stessa forza ed enfasi di quando, seppur ventenni, hanno deciso di dedicare la propria vita e il proprio tempo alla Nazione in ogni modo a loro possibile, anche vestendo una divisa, nella speranza che servisse a cambiare qualcosa.
Mi rivolgo a lei Presidente Guido Crosetto sia per il suo trascorso incarico di Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa, sia per il legame e la passione che ha sempre dimostrato nei confronti degli Uomini in divisa e dell’Unità nazionale.
Questi due elementi la rendono interlocutore attento ricettivo e propositivo circa le problematiche attualmente vissute dal Comparto Difesa e da me in parte elencate.
La sua attività svolta da Sottosegretario in favore dell’ammodernamento e dell’evoluzione del Comparto in questione e, quindi, il conseguente miglioramento degli standard di vita di tutti i militari, lasciano presupporre una Sua reale e incondizionata volontà di migliorare tale realtà che spero non sia affievolita nel tempo.
Mi rivolgo a Lei gentile Gen. C.A. Mario Marioli, poiché ritenuto da molti l’antonomasia del concetto che è ben visibile nei vari epitaffi presenti in ogni struttura militare e che recita “fulgido esempio di virtù militari”, proprio per questo stimolante esempio per ogni Soldato.
Questo unanime giudizio nasce dal suo comportamento tenuto in varie realtà lavorative e umane, comprese anche diverse situazioni difficoltose, pericolose e dolorose, dove ha sempre saputo evidenziare e mantenere le sue virtù di uomo e di Leader militare.
Vedere un Soldato con il Suo grado e il suo ruolo, anche in situazioni di elevato stress e imminente pericolo, mantenere nei confronti dei sottoposti indifferentemente dal loro grado rivestito, qualità umane quali la coerenza, l’umiltà, l’onestà, l’altruismo, oltre a virtù militari quali la professionalità, la lealtà, la collaborazione, risulta essere un vitale e necessario esempio agli occhi di tutto il personale in divisa. Il suo è proprio quell’esempio, quella fiamma citata nel mio scritto, necessaria e capace di riaccendere nelle persone non solo in servizio, la passione, il rispetto e l’amore per la divisa, le Istituzioni e il proprio Paese.
Ho deciso di scrivere a Lei, gioioso metafisico Roberto Benigni, perché indiscussa antonomasia di Cittadino Italiano in senso lato.
Lei Ha da sempre dimostrato un fiero attaccamento alla propria condizione di Cittadino italiano, con le modalità e le caratteristiche quali la semplicità, la passione, l’ironia e il sorriso, che il nostro popolo anche se possedendole in maniera intrinseca nel proprio codice genetico, sembra purtroppo aver dimenticate.
Lei riesce in ogni situazione, facendoci passare con naturale semplicità dai sorrisi luminosi alle lacrime più accorate, a renderci partecipi della grandiosità, della fortuna, della gioia, della fierezza di essere italiani.
Questa partecipazione e appartenenza alla “Sua Italia” unica, eccezionale, fulcro della cultura mondiale, ce la regala con una tale innata semplicità e familiarità, che per un momento ci concede di poter vivere l’estasi di tale condizione senza nemmeno darci modo di razionalizzare tale rapimento. Ogni suo accorato intervento riaccende nella maggioranza dei cittadini italiani il fervore per ciò che è stato il nostro Popolo, di cosa è diventato in questo oscuro momento che stiamo vivendo, e di cosa potrebbe tornare ad essere, o meglio di ciò che meriterebbe di essere.
Proprio queste sue doti di Italiano puro e semplice, di modello culturale, di eccellente oratore, la rendono altro vitale e necessario elemento catalizzatore, capace di permettere a tutti la comprensione su quali siano le vie più idonee e più etiche per garantire al nostro Paese, quindi l’Istituzione militare, un ritorno ai fasti spettanti ad un Popolo fiero e degno quale è quello italiano, facendola assurgere, per molti aspetti, ad un moderno Garibaldi.
Ormai negli anni abbiamo conosciuto sia in positivo sia in negativo quale può essere la forza e non solo persuasiva di un “uomo di penna”, per questo spero in un suo sempre più attivo e sempre più presente stimolo e sostegno a tale “Risorgimento”.
Ho scelto Lei, amato Papa Francesco, per vari motivi tutti collegati tra loro e al contenuto di questa mia lettera.
Perché in un momento in cui l’umanità sta perdendo la strada di “casa” dirigendosi in un precipizio senza fondo a causa di situazioni economiche disastrose, falsi miti ed esempi di moralità deprecabile, Lei Santo Padre sta cercando con il sorriso, la gentilezza e la bontà che La contraddistinguono, di dimostrare che comunque, contro ogni subdola adulazione, la cosa più importante che abbiamo e che va difesa ad ogni costo siamo noi stessi in quanto uomini, e l’amore, la dignità e la passione che rivolgiamo agli altri.
Questo è anche confermato dal nome che Lei ha scelto per il suo Papato, semplice ma enormemente intriso di forti significati e contenuti, Francesco.
Questa Sua scelta del nome Francesco è proprio un ulteriore motivo che mi ha spinto a scriverLe, perché è un forte elemento di coesione tra la Sua persona, la Comunità che rappresenta e la Comunità militare che con orgoglio e passione serve il Popolo italiano.
San Francesco D’Assisi e il Soldato Professionista Italiano sono, a mio parere, due esempi della stessa natura, in quanto in entrambi vivono elementi e caratteristiche come la tolleranza, l’integrazione, l’abnegazione, l’altruismo, l’obbedienza, la tutela e il supporto dei “minori” e dei bisognosi Tutti.
Un altro motivo che mi ha spinto a scriverLe questa lettera, Santo Padre, è il fatto che se anche la Chiesa, per antonomasia realtà granitica, inflessibile e austera, sta percorrendo con veloce e proficua audacia un via di rinnovamento e di miglioramento, lo stesso potrebbe succedere in una realtà ugualmente radicata e immutabile quale è l’Istituzione militare.
Tale percorso di modernizzazione e di moralizzazione la Chiesa lo sta percorrendo grazie alla Sua spinta morale, emotiva e a volte coatta, e proprio questa realtà portata avanti da Lei potrebbe essere di esempio e di stimolo anche per l’Istituzione militare, verso la quale mi adopero nel mio piccolo nella speranza di poter incoraggiare un miglioramento tanto netto e veloce.
Credo che nessuno in questo delicato momento possa meglio di Voi risvegliare nei cuori del popolo italiano quell’amore, quell’attaccamento, quel rispetto, quella sensazione di “familiarità” verso le Forze Armate, i Soldati e le Istituzioni da questi difese, quindi, verso il Popolo stesso e la Nazione, mai come adesso necessitanti.
Questa mia lettera non vuole essere uno sfogo o una lamentela nei confronti del Vostro operato o delle Istituzioni Italiane e Religiose da Voi rappresentate.
Il mio intento consiste nel farVi conoscere attraverso una “voce” nuova alcune realtà che interessano le Forze Armate Italiane, nella speranza che Voi possiate trovare in queste mie righe uno spunto, una spinta anche solo morale, per migliorare le situazioni sopracitate e il nostro Paese tutto.
Al momento nelle Forze Armate Italiane, a mio parere, coesistono non sempre in facile simbiosi due anime di pari importanza, ma a volte in apparente contrasto: quella conservatrice molto incline alle tradizioni, ma a volte in questo atteggiamento troppo radicale, e quella innovatrice, al passo con i tempi, sempre legata alla storia e alle tradizioni grazie alle quali siamo quello che siamo, ma più propensa ad una visione pragmatica ed attuale circa le potenzialità, la realtà e il Futuro delle Forze Armate Italiane.
Sono fiducioso che Voi e le Istituzioni da Voi Rappresentate possiate trovare il modo di valorizzare al meglio il Soldato in quanto servitore dello Stato, in quanto parte vitale della Patria ed e in quanto Cittadino italiano avente sentimenti e raziocinio.
Questa mia nasce solo da un leale spirito di collaborazione e spero sia vista come tale, e nel caso io abbia mancato in qualche modo alle Vostre persone durante il mio scritto, vi chiedo la cortesia di perdonare chi non nasce come uomo di penna.
RingraziandoVi per il tempo concesso, Vi auguro un proficuo proseguimento del Vostro incarico e Vi porgo i miei sinceri saluti.
con rispetto,
Carlo Chiariglione